L'ingegnere, un intellettuale spesso "trascurato"

di Giancarlo Avolio

Il termine “intellettuale”, stando a quanto riportato dal vocabolario della lingua italiana, denota “una persona di una certa cultura e di un certo gusto, che si dedica ad attività culturali o artistiche facendone la sua principale attività”.

Si tratta, come evidente, di una definizione alquanto generica, che lascerebbe, in virtù di ciò, un abbondante grado di libertà nell’individuazione di soggetti più o meno afferenti alla categoria su citata.

Tuttavia, soprattutto nella società contemporanea, permeata di superficialità e tendente a schematizzare ogni cosa in modo netto con conseguente riduzione dei possibili spazi di riflessione attenta, per intellettuale si intende, nella stragrande maggioranza dei casi, una persona dalla cultura umanistico - letteraria, nettamente distinta e distante da interessi scientifici e tecnici.

Spingendo al limite questo giudizio o, per meglio dire, pre-giudizio, si immagina la persona colta impegnata quotidianamente in occupazioni che hanno a che vedere esclusivamente col mondo delle lettere, della musica, dell’arte o dell’insegnamento di materie affini.

In realtà, l’equivoco non nasce per caso, ma deriva dall’ancor oggi irrisolto dilemma dell’esistenza presunta delle due culture, umanistico e tecnico-scientifica, separate tra loro e impossibilitate a dialogare e contaminarsi reciprocamente.

Da ingegnere per professione e scrittore di romanzi sento il bisogno di ribadire con passione che non esistono assolutamente due culture differenti, ma semplicemente un unico nobile atteggiamento rivolto al mondo circostante, che talora si esprime con parole raffinate, tal altra trova sfogo nell’elaborazione di teorie fisico-matematiche. Per di più, senza voler scomodare menti eccelse e perciò rare, nel mondo “reale” del quotidiano è molto più frequente di quanto si creda imbattersi in persone impegnate professionalmente nel mondo della tecnica (all’interno di aziende, di università o come liberi professionisti) ma attratte ugualmente da tutto ciò che è elaborazione del pensiero, dalla storia alla filosofia, dalla lettura dei testi classici all’interesse per la musica e così via.

Conseguenza di questo errato modo di pensare è, molto spesso, il disinteresse o il poco credito disposto a dare a quanti, provenendo dal mondo della tecnica, si spingono di tanto in tanto, per diletto o con convinzione, a proporsi in ambiti diversi, per semplicità detti “intellettuali”.

Fortunatamente, esistono e sono esistiti nel passato anche recente esempi di ingegneri capaci di imporsi all’attenzione delle masse per le loro opere “non tecniche”, frutto di interessi non legati strettamente alla loro formazione universitaria e professionale.

Vorrei citare un solo caso, come esempio a tutti noto, quello dell’Ing. Luciano De Crescenzo.

Si tratta, a mio avviso, di una personalità eclettica di primo livello, capace di raggiungere ruoli dirigenziali nella nota azienda in cui ha operato per tanti anni, e, allo stesso tempo, nella sua “seconda vita”, di dedicarsi, con leggerezza ed ironia (talvolta pagate con giudizi severi della critica letteraria) alla divulgazione della storia della filosofia o della mitologia, così come nell’elaborazione di personaggi emblematici di una realtà sociale che tutti noi viviamo nel quotidiano.

Al di là di quanto scritto e detto su di lui, ritengo che il messaggio più forte legato alla fortunata avventura editoriale di Luciano De Crescenzo sia quello di un’affermazione dell’ingegnere come persona colta che, al pari di ogni altro laureato, ha dedicato molto della sua vita allo studio, alla lettura e alla comprensione del mondo circostante.

Naturalmente si potrebbero fare tanti altri esempi, anche più “impegnati” e “raffinati”, ma l’idea di fondo non cambierebbe.

Più utile, quindi, a questo punto, trarre i suggerimenti giusti.

Credo sia compito di tutti noi, soprattutto di noi giovani ingegneri, recuperare un prestigio socio-culturale che non resti confinato soltanto nell’ambito della sapienza tecnica, ma che sia riconosciuto il più possibile anche in altri “mondi”, senza ovviamente, con questo, indebolire o offuscare il legittimo senso di appartenenza verso la nostra “casa” professionale.

Altro compito, di certo non proibitivo, è quello di creare una sorta di “rete” capace di diffondere e promuovere con orgoglio il frutto del fervore culturale che nasce “tra di noi”, aiutando a farlo divenire maturo e potenzialmente conosciuto anche all’esterno. Le nuove tecnologie, come internet, sarebbero un facile strumento utilizzabile.

Non solo tutto ciò servirebbe a garantire il rispetto già oggi rivolto verso la nostra categoria, ma consentirebbe, a quanti lo volessero, di incidere nella società con sempre maggiore energia ed efficacia, apportando a quest’ultima il giusto grado di progresso e innovazione che, per un ingegnere, costituiscono il DNA della propria forma mentis.             

 

PUBBLICATO DA : Notiziario dell'Ordine Ingegneri di Napoli (set-ott 2007)

 

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