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Le classifiche del
botteghino possono forse affermare il contrario, ma la realtà più evidente è
la mediocrità ormai patologica del cinema italiano.
A parte rare eccezioni, rappresentate per lo più da buoni
film sulla storia del terrorismo, sulla mafia o per contro da qualche
commedia d'autore, come quelle solitamente gradevoli di Carlo Verdone,
assistiamo, ormai stanchi e rassegnati, al succedersi di film dalle piccole,
piccolissime pretese in termini di qualità.
Possibile che per sbancare al botteghino sia proprio
necessario ripetere, con cadenza biennale film quali "Scusa ma ti voglio
sposare" (che tra l'altro, in lingua italiana, è una frase di rara
bruttezza), "Scusa se ti chiamo amore", "L'ultimo bacio", "Baciami ancora" e
così via?
Questo per non parlare del fenomeno dei cosiddetti
"cine-panettoni" natalizi, interpretati dal pur bravo Cristian De Sica;
questi ultimi forse fino a pochi anni fa potevano anche rappresentare un
divertente svago mentre oggi, dopo qualche decina di "edizioni" ambientate
in giro per il mondo (India, Egitto, Miami, New York, Rio, Beverly Hills,
solo per citarne alcune destinazioni) hanno del tutto esaurito la loro
carica di novità rappresentando, ormai, soltanto la parodia di se stessi.
Eppure le possibilità di ridare uno slancio al cinema
italiano non mancherebbero.
Film interessanti e di qualità vengono di tanto in tanto
prodotti ma, non essendo adeguatamente sostenuti da importanti società di
produzione e distribuzione, arrivano in pochissime sale, che magari li
"recuperano" proiettandoli durante le serate dedicate al "cineforum".
Sul banco degli imputati, dunque, ci sono questi soggetti
economici palesemente rinunciatari ad affrontare investimenti ritenuti
ingiustamente rischiosi, limitandosi a produrre film sempre uguali a se
stessi o ancora, più comodamente, distribuendo unicamente quelli fatti
all'estero e già di successo.
E' così che interi generi, a mio modo di vedere di impatto
e adattabilissimi al contesto socio-culturale italiano, non riescono nemmeno
in minima misura a rientrare nelle proposte cinematografiche nazionali. Se
in certi casi questo è forse inevitabile, come quello della fantascienza e
del fantasy, dove occorrono fortissimi investimenti che solo l'industria
hollywoodiana può mettere in campo, per altri invece tale scelta appare del
tutto incomprensibile; pensiamo ai generi giallo-thriller-noir
sistematicamente trascurati al punto da farci immaginare, inconsciamente,
storie del genere credibili soltanto se ambientate a New York, Los Angeles o
città del genere.
Che miopia!
Accade inoltre, a peggiorare ancor più la già disastrosa
situazione, che le nostre case cinematografiche rinuncino volontariamente a
realizzare veri e propri possibili successi di vendita, senza alcun rischio.
Un caso eclatante è dato dal romanzo "Io uccido" di
Giorgio Faletti, tra i maggiori successi della letteratura di genere
thriller italiana degli ultimi anni grazie ai suoi milioni di copie vendute,
in Italia e all'estero. Ebbene, quello che sembrava ovvio, ovvero produrre
un film tratto da questa storia che di sicuro avrebbe attirato al cinema
centinaia di migliaia di suoi appassionati lettori è rimasto, invece, un
successo tutto teorico. Incredibile!
Eppure non si tratta dell'unico sfortunato caso... Se ne
potrebbero citare tanti altri di esempi...
Perché per un regista e produttore americano è scontato
trasporre cinematograficamente gli straordinari best-seller di Dan Brown,
facendo diventare "Il Codice Da Vinci" o "Angeli e Demoni" successi
planetari e, invece, per il nostro paese questo non si fa, rinunciando
allegramente a facili guadagni?
La domanda è banale.
La risposta, invece, difficilissima.
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