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Sonno profondo << Abbiamo bisogno di soldi, tanti soldi…>> << E non solo, si tratta di un affare molto complesso e rischioso >>, rispose l’altro, rilassandosi sul sediolino dell’auto e cercando di orientare giusto sul viso le bocchette dell’aria condizionata. Giovanni Pezzo, alla guida della sua nuova Mercedes, era uscito pochi mesi prima dal carcere di Poggioreale, dove aveva scontato una condanna durissima per tentato omicidio. Non era la prima volta che era stato in cella; era finito dentro già altre volte per reati minori come scippo, furto, rissa. Una volta anche per rapina a mano armata. Ma, tutto sommato, si era trattato di periodi brevi, che quelli come lui, finiti a vivere per strada da bambini e abituati fin da subito all’uso della violenza e della sopraffazione, dovevano mettere in conto. L’ultima volta, però, era stato diverso. In un agguato, avvenuto nel pieno centro di piazza Garibaldi, aveva tentato, assieme al suo guardaspalle alla guida di una potente Transalp, di assassinare Mariolino detto “ o’ cantant’ ”, a causa delle soffiate che in passato aveva offerto alla Polizia. I colpi, esplosi a raffica, contro la sua auto avevano soltanto gravemente ferito l’uomo, ma non ucciso. Giovanni aveva fatto segno al complice di accelerare e scappare, ma la fuga, resa difficile dal traffico intenso di quella mattina, era stata bloccata da una pattuglia di “falchi” della questura. << Per il resto credo non sia troppo difficile; la cosa più complicata è racimolare i soldi…ne servono tanti per costruire un albergo, un albergo di lusso, come abbiamo in mente di fare. Ma anche su questo punto, ho trovato una soluzione. Ho avuto tanto tempo per pensare; mesi e mesi passati dietro le sbarre di una cella tre metri per tre, con una finestra talmente piccola da darmi la sensazione di soffocamento…>> Uscito da galera, aveva deciso di tentare il grande salto. Basta con le rapine, lo spaccio di droga, di stare al servizio del clan di cui faceva parte; aveva voglia di fare un ultimo affare, quello definitivo, dopo il quale non avrebbe dovuto usare più i metodi brutali appresi in tanti anni di vita criminale. << Hai un piano? Sicuro? >>, fece Salvatore, anch’egli preso dalla voglia irresistibile di uscire una volta per tutte dai ranghi di una camorra che sentiva ormai troppo lontana. << Si, anche se è una cosa grossa. Veramente grossa. >> << E dimmi, in cosa consiste? >> << Per ora ti svelo solo la prima mossa...è inutile soffermarci su quanto avverrà dopo. >> Giovanni non voleva rivelare nulla più del necessario; non solo perché il capo era lui e così gli andava di fare in quel momento, ma anche perché sarebbe bastata una sola soffiata per far fallire tutto. << Dovrai contattare Teresa e dirle di “avvicinare” una persona…>> << Teresa? Ma è da anni che ha smesso di prostituirsi e che è uscita dal giro! >> << Lo so, e infatti non le chiederai nulla di scandaloso. Dovrà solo conoscere questa persona e organizzare un incontro per nulla intimo…diciamo che avverrà in un luogo aperto, molto aperto…>> Salvatore si incuriosì. << E chi sarebbe questa persona? >> Quando Giovanni gli rivelò il nome, capì che le intenzioni del capo erano davvero grosse.
Il silenzio, il respiro profondo e regolare solo a tratti interrotto da piccole e inavvertite pause…
Claudio guardò nervosamente l’orologio. Non ne poteva più di quella lunga lezione di ragioneria, priva anche del tradizionale intervallo che gli altri professori concedevano agli studenti. Aveva anche preso un posto nelle prime file e ciò gli impediva di abbandonare l’aula prima del termine. In realtà non si trattava solo di stanchezza. Quella mattina, in metropolitana, aveva conosciuto una donna molto bella, un po’ più grande di lui. Anzi, abbastanza più grande. I suoi 19 anni sembravano molto pochi paragonati ai 31 di lei, anche se tutto ciò rendeva ancor più dolce e stimolante il fatto. Aveva detto di chiamarsi Angela. Era stata lei a dargli corda parlandogli amabilmente e dispensandogli larghi sorrisi all’inizio, trasformatisi poi in sorrisetti ammiccanti e maliziosi. Lui le aveva raccontato di se stesso, del primo anno all’università, dei suoi sogni per il futuro; naturalmente non le aveva rivelato il dettaglio più importante. Claudio era il figlio del Sindaco di Napoli, Filippo Crispi. Ma queste erano cose che preferiva non dire subito, almeno non a persone conosciute casualmente in metropolitana. Lei invece lavorava come segretaria in uno studio legale a Fuorigrotta e sarebbe rientrata a casa, sempre in metropolitana, verso le 15. Riguardò l’orario. Erano le 14,20 e tra 10 minuti la lezione sarebbe terminata. Sperava di rincontrarla e per questo avrebbe atteso nella stazione fin quando non l’avrebbe rivista.
Un piccolo rumore, poi di nuovo quel silenzio totale, quella calma così normale…
Era seduta su una panchina, proprio alla fine della scala mobile che conduceva ai binari. Claudio fu felice di rivederla e avvertì un’incontrollabile sensazione di euforia. Era davvero fantastica; lunghi capelli neri che le coprivano il collo, occhi scuri e grandi, un corpo sensuale messo in risalto da un abito azzurro molto corto. << Ciao....ehm…salve >> << O ciao! Dammi del tu, figurati, ho solo trent’anni, non cado ancora a pezzi. >> No, non cadeva per nulla a pezzi, anzi... pensò lui. << Ok. Che fortuna rincontrarci, o sarà troppo in una sola giornata? >>, fece sorridendo. << Bé, non saprei…forse no, almeno spero…>>, rispose Teresa, fingendo ottimamente un sottile imbarazzo misto a sorpresa. Pochi secondi dopo arrivò il treno, sul quale salirono insieme, potendo continuare a conversare. Tra una fermata e l’altra, Claudio notò che Angela lo guardava con aria sempre più interessata, la qual cosa lo rendeva carico di ottimismo e buon umore. << Hai degli occhi molto belli, sai? >>, gli chiese in modo retorico, riferendosi al colore azzurro che la natura aveva donato alle sue pupille. << Grazie, sei davvero gentile >>, il tono era quello di chi fingeva una piccola sorpresa, sapendo benissimo che i capelli biondi e gli occhi azzurri erano davvero il suo punto forte; quello che le prime fidanzatine avevano sempre apprezzato di lui. Tuttavia quel complimento, in quel preciso momento, aveva tutto un altro gusto. Poco prima di scendere, Angela gli propose un appuntamento. << Ti andrebbe di rivederci domani sera a piazza del Plebiscito? Diciamo verso le 9,30? >> << Domani sera? Si, domani andrebbe benissimo…dove vengo a prenderti? >>, rispose, un po’ intimidito ma anche con la necessaria spregiudicatezza. << Ci vedremo direttamente lì…ok? >> << Va bene. Allora a domani >> << Ciao. >> La vide scendere dalla metropolitana e, quando il piccolo treno ripartì, soffocò un urlo tramutandolo in un sorriso compiaciuto.
Le 9,40 e fino ad allora nessuna traccia di Angela. Claudio guardò tutti i lati dell’enorme piazza, da destra verso piazza Trieste e Trento, poi davanti, con il lungo colonnato della chiesa, fino a sinistra, verso la strada che portava a Santa Lucia. Nulla. E pensare che, per stare lì, aveva rinunciato ad un pranzo di gala che il padre aveva offerto, subito dopo la sua brillante elezione a Sindaco in cui aveva sbaragliato il candidato dell’opposto schieramento. Si girò nuovamente a sinistra. Si fermò; la vide arrivare e le andò incontro lentamente, anche se in realtà avrebbe voluto correre verso di lei. << Ciao Claudio, scusa per il ritardo ma ho avuto un contrattempo…>> << Non preoccuparti. >> << Sei qui da tanto? >> Non le avrebbe detto che stava lì dalle 9…voleva conservare un certo contegno. << No, sono arrivato 5 minuti fa. Poi, aspettare in una piazza così incantevole è un qualcosa di assolutamente piacevole, non credi? >>, chiese, facendo ruotare la mano verso tutti i punti di quel luogo effettivamente meraviglioso. << Certo! Forse è poco definirlo incantevole; io la amo. Più la guardo e più mi sembra incredibile. Tutto questo spazio, la sensazione di libertà assoluta, quasi il distacco dal traffico e caos che c’è fuori di qui…e insieme, la consapevolezza di trovarsi al centro della città…>> Cominciarono a camminare verso il centro della piazza, costeggiando il palazzo reale illuminato come ogni sera. Essendo una giornata lavorativa, tuttavia, e facendo un po’ freddo, non c’era quasi nessuno. Dopo un po’, rimasero praticamente soli. Claudio notò solo un’auto scura parcheggiata. Doveva trattarsi di un’auto civetta della polizia, dato che era vietato entrare con la macchina all’interno della piazza. << Perché non facciamo quel gioco tanto carino che fanno tutti qui? Quello della benda? >> Angela si riferiva al tentativo, che turisti, ma anche napoletani, facevano, di attraversare la piazza, partendo dal palazzo reale, bendati e cercando di arrivare, seguendo un percorso diritto, al centro delle due statue dei leoni posti di fronte. << Va bene, chi comincia? >> << Comincia tu…voglio proprio vedere se ci riesci…>>, fece lei, rispettando in pieno quello che le era stato detto di dire; naturalmente in cambio di soldi. Prese dalla borsetta un fazzoletto molto grande e lo legò sul viso di Claudio, che intanto rideva e borbottava qualcosa; in questo modo, non vide nemmeno il movimento dell’auto, che si era avvicinata a loro. A bordo vi erano 2 poliziotti. Facevano parte della squadra mobile, ma da tempo ormai si erano venduti al clan di cui faceva parte anche Giovanni Pezzo. In cambio di tanti soldi, erano pronti a rivelare dettagli di indagini segrete contro uomini della cosca, riuscendo anche a sventare per alcuni di loro l’arresto, avvisandoli poco prima della retata. E non solo. << Sono pronto, vado? >> << Si, ti seguirò accanto, ma non ti darò suggerimenti…così è più divertente. >> Claudio cominciò, camminando attraverso la piazza deserta con passo incerto e le braccia lievemente scostate dal corpo per evitare di perdere l’equilibrio. Cercava di mantenere mentalmente il senso dell’orientamento e per questo rallentò ancor più. All’improvviso sentì afferrarsi per le braccia. << Angela sei tu? >>, sospirò, cercando di spiegarsi quella stretta forte che lo aveva colpito e che sembrava tutto tranne quella di una dolce ragazza. Lei, da dietro, gli mise un altro fazzoletto sulla bocca, per evitare che urlasse, e cercò di mantenergli quello sugli occhi. I due, invece, sempre tirandolo per le braccia, lo caricarono in pochi attimi in macchina, senza che i loro colleghi, posti ai margini della piazza, potessero accorgersi di nulla.
Un sussulto, un movimento brusco, la bocca aperta…poi di nuovo la calma…
Giovanni attese Salvatore in un bar a Mergellina, gustando il solito caffè di inizio giornata. Prima che stesse per pagare alla cassa, lui arrivò, col solito fare esuberante. << Pago io, il caffè è offerto. >> << Grazie, come mai tanta cortesia? >> Salvatore lo guardò sorridendo. << Bisogna festeggiare il primo traguardo raggiunto…non credi? Almeno con un caffè! >> Gennaro sorrise compiaciuto e gli fece cenno di seguirlo fuori. Si incamminarono sul lungomare, facendo attenzione alle persone in bicicletta che correvano sul marciapiedi e osservando beatamente l’acqua infrangersi contro gli scogli. Arrivarono all’altezza del consolato americano, attraversarono la strada ed entrarono nella villa comunale; lì si sedettero sulla prima panchina, all’ombra di grossi alberi che coprivano il sole già caldo e fastidioso. << Abbiamo il nostro uomo, o meglio, il nostro ostaggio >>, ribadì enfaticamente Giovanni. << Certo, è al sicuro. Ma ora che facciamo? >> Giovanni si girò istintivamente indietro, avendo cura che nessuno dietro di loro li potesse sentire. Poi tornò a guardare Salvatore. << Dobbiamo agire presto. Subito. Prima che il Sindaco lanci l’allarme. >> << E come? Chiamandolo e chiedendo un riscatto? >> << Un riscatto, ma che non pagherà lui direttamente. Non avrebbe tutti quei soldi. Milioni e milioni di euro…>> rispose Giovanni con fare misterioso. << E allora chi? >> << Il Sindaco, prima di questa esperienza, era un dipendente dell’Intendenza di Finanza; anzi, un dirigente. In particolare si occupava personalmente dei giochi e delle lotterie statali. Lo chiameremo e, minacciandolo di non ridargli il figlio, gli chiederemo di truccare le prossime estrazioni del lotto. Non dovrà truccare tutti i numeri estratti, ma solo i primi estratti sulle ruote che contano per il superenalotto. >> Salvatore lo guardò sorpreso. << Superenalotto? >> << Si certo; questa settimana il 6 vale ben 35 milioni di euro…capisci? Circa 70 miliardi delle vecchie lire! Un mare di soldi!! >>, concluse euforico Giovanni, girandosi nuovamente all’indietro in un gesto rapido e automatico. << E poi? Ammesso che li vinceremo? >> << A quel punto sarà un gioco da ragazzi chiedergli un’ultima cosa per il rilascio del figlio…>> << E cioè? >> << Semplice…una concessione edilizia. E proprio a Bagnoli, dove si concentreranno la maggior parte degli investimenti in città nei prossimi anni. Da quartiere industriale a zona turistica…dobbiamo investire lì, e diventeremo ricchi per sempre. Ricchi e…puliti. >> Salvatore capì e alzò lo sguardo verso il mare di fronte; il piano era più ambizioso di quanto avesse potuto mai immaginare.
L’aria penetrava tra i due solchi facendoli vibrare ritmicamente…un leggero rumore per nulla musicale usciva e si percepiva anche da lontano…
<< Pronto? >> << Parlo con il signor Sindaco? >> Quella voce non l’aveva mai sentita; tuttavia, proprio quella mattina, si era alzato presto dal letto e aveva notato, con molta preoccupazione, che Claudio non era tornato ancora a casa. La sera prima, salutandolo, gli aveva chiesto a che ora sarebbe rientrato. << Tardi >> era stata la risposta, a causa di un invito ad una festa di un amico. Tardi, ma non pensava così tardi. Era successo qualcosa? Stava per fare delle telefonate per rintracciarlo , ma il telefono squillò per primo. << Si, con chi parlo? >> << Questo non importa. Lei deve soltanto ascoltarmi attentamente e tutto andrà bene.…>> << Pronto? Ma chi è lei? >> Ora aveva paura. Il pensiero corse subito al figlio, che non era lì a casa. << Lasci stare. Suo figlio Claudio è qui con noi; sta bene, ma tornerà da lei solo se avremo qualcosa in cambio…>> << Ma io….non si permetta…>>, fece con un impeto di rabbia improvvisa che nascondeva dentro di se una profonda angoscia. << Per prima cosa, non chiami i Carabinieri o la Polizia; altrimenti lo verremmo a sapere e lo uccideremo subito. Se farà esattamente tutto quello che le diremo lo riavrà sano e salvo, anche molto presto. >> La voce di Giovanni era dura e senza inclinazioni di tono. Non si era preparato, tuttavia il risultato sembrava funzionare perfettamente. << Qualunque cosa lei voglia da me, sappia che non sono mai stato ricco e non sarà certo l’essere diventato Sindaco di Napoli che potrà cambiare questo. Mi creda, la prego…>>, fece, scandendo le ultime parole con difficoltà; la rabbia e la paura avevano lasciato spazio alla disperazione. Aveva cominciando a piangere. << Non vogliamo i suoi soldi. Sappiamo che lei lavorava nel settore delle lotterie. >> << Si, certo, ma cosa c’entra? >> << Allora, oggi è giovedì; sabato, come sempre, ci saranno le estrazioni del lotto. Abbinate a queste, la schedina del Superenalotto. Basterà far uscire questi 6 numeri vincenti…. >> Il Sindaco non credeva alle proprie orecchie. Era una pazzia! << Ma non posso! >> << Stia zitto, per favore. Lo faccia per suo figlio. Ora le detterò i numeri, dopo di che chiuderò la telefonata. Il resto lo dovrà fare lei, entro sabato, altrimenti se ne pentirà. >> << Ma mi creda…>>, provò a interromperlo sempre più avvilito e sconvolto. << I numeri sono questi: 6, 23, 55, 61, 77, 90. Devono uscire tutti, ha capito? Sabato, non si dimentichi. >> Li aveva segnati sul primo foglietto che aveva trovato sulla scrivania. Sperava di riuscire a leggerli senza che la sua mano tremante ne avesse compromesso per sempre la comprensione. << Pronto, ma Claudio dove sta? Pronto? >> Dall’altra parte avevano riagganciato. Un attimo dopo accese di scatto una sigaretta, ma non riuscì a fumare. Si accasciò a terra piangendo disperatamente.
Non avrebbe mai fatto cose di quel tipo. Tuttavia l’onestà che lo aveva contraddistinto da sempre era nulla paragonata alla vita del figlio. Nulla. Fece un paio di telefonate, poi chiamò il suo autista e gli comunicò che sarebbero partiti subito, alla volta di Roma. Destinazione: sede centrale della Sisal, concessionaria statale organizzatrice delle estrazioni del lotto.
<< I numeri vincenti sono i seguenti : 6, 23, 55, 61, 77 e 90. Per la gioia di chi li ha centrati, comunichiamo che, clamorosamente, c’è stato un unico 6 in tutta Italia, che porta via l’intera cifra di ben 35 milioni di euro…>> Il conduttore del telegiornale stava appena dando la notizia dell’enorme vincita, realizzata con una schedina da un solo euro, giocata in un autogrill situato sull’autostrada Napoli-Roma. Giovanni aveva voluto giocarla lì per non dare nell’occhio. Quando vide che i numeri giocati erano proprio i suoi guardò negli occhi Salvatore. Cominciò a sudare freddo, il cuore pareva impazzito. C’erano riusciti. Erano diventati ricchi, a dir poco. La magica pazzia si era tramutata in una fantastica realtà. << Pronto? >> << Sono sempre io signor Sindaco.Volevo ringraziarla di cuore per aver rispettato i patti.Con lei la fortuna si può toccare con mano…>> << Rivoglio mio figlio. Subito! >>, esclamò carico di energia Crispi. Giovanni sorrise, poi tornò serio. Un po’ gli faceva pena, tutto sommato, sembrandogli così diverso dal grande e convincente uomo politico visto in TV, sempre sicuro di se e abituato ad avere l’ultima parola. << Lo riavrà. Lui sta bene, ma prima dovrà sbrigare un’ultima “pratica”. >> << E cosa sarebbe? >> << Molto semplice. Napoli ha un suo piano regolatore per l’edilizia e l’unico a poter proporre in questo momento cambiamenti è lei. Le basterà concedere un permesso per la costruzione di un grande complesso turistico a Bagnoli. Un hotel con tanto spazio per fare campi da tennis, di golf, piscine e tanto altro. Domani riceverà per posta tutti i dettagli precisi. Non dovrà far altro che dare questo permesso nel punto preciso in cui noi lo vogliamo e finalmente potrà riabbracciare suo figlio, sano e salvo. >> Concluse così, riagganciando subito dopo e allontanandosi dalla cabina telefonica da cui aveva chiamato.
Ancora il solito movimento brusco, ma più ampio di quello precedente….altri ne seguirono nei secondi seguenti, in una strana danza involontaria che si fermò poi in una nuova posizione, apparentemente migliore e più comoda…
Non aveva possibilità. Se rivoleva suo figlio doveva nuovamente obbedire a quella richiesta, solo apparentemente più modesta della precedente. Ma l’incubo non era finito. A parte la difficoltà di riportare al centro del dibattito politico cittadino, in brevissimo tempo, la discussione sul piano regolatore, approvato solo poche settimane prima, forse tutto sarebbe stato ugualmente inutile. Il dubbio che più lo angosciava era sapere se, una volta fatta questa ulteriore concessione, non sarebbero seguite altre richieste in futuro. Ormai era un uomo totalmente sotto ricatto e forse prima di restituirgli il povero Claudio gli avrebbero estorto chissà quante altre cose. Se era vivo. Il pensiero volò improvvisamente alle due telefonate intercorse con i rapitori; in nessuna di queste aveva potuto sentire la voce del figlio o addirittura parlargli… Chiuse gli occhi e si portò, con uno scatto nervoso, le mani alla testa, cercando disperatamente una via d’uscita. Dopo alcuni minuti, decise che era il momento di farla finita con quell’assurda trattativa. Avrebbe denunciato tutto ai carabinieri, sperando che la notizia rimanesse il più possibile riservata per non compromettere la vita di Claudio. Alzò la cornetta e chiamò il maresciallo responsabile della sua scorta per raccontargli tutto.
Il giorno seguente, alle 19,20 in punto, il maresciallo Cortese ricevette una telefonata sul suo cellulare. Era l’appuntato Troisi, che gli parlò di un’auto sospetta parcheggiata ai bordi di piazza del Plebiscito. Cortese si diresse lì in pochissimi minuti; si avvicinò assieme all’appuntato a quell’auto, di colore scuro; anche i vetri erano oscurati, come quelli montati su alcune autovetture in dotazione alle forze dell’ordine. Forzarono la serratura e aprirono lo sportello. Un fortissimo odore nauseabondo li investì in pieno. Il cadavere del giovane Claudio Crispi giaceva sul sedile posteriore, in avanzato stato di putrefazione.
Improvvisamente aprì gli occhi, guardò spaventato la camera da letto in cui stava dormendo e avvertì ancora il ritmo accelerato del suo cuore. La moglie dormiva beatamente al suo fianco come ogni sera. Erano le tre di una tranquillissima notte autunnale. Tranquilla per tutti, ma non per lui. Da appena una settimana Filippo Crispi, anonimo dirigente statale “prestato” alla politica, era diventato Sindaco di Napoli vincendo una sfida elettorale contro un candidato dato per favorito. Da quel giorno non era più riuscito a dormire. Subito dopo essersi addormentato, veniva assalito da un mare di incubi drammatici e terrificanti. Non aveva mai provato nulla di simile e all’indomani non faceva altro che pensare ininterrottamente all’incubo della notte precedente. Forse stava impazzendo; o più probabilmente aveva tanta paura di passare i prossimi quattro anni in un posto a cui non avrebbe mai immaginato di poter arrivare. Paura, quasi terrore. Lo colpì un attacco di panico improvviso. Doveva lasciare. Non era adatto a quel tipo di vita. Il pensiero che anche una soltanto delle cose vissute nei sogni avrebbe potuto verificarsi realmente lo fece rabbrividire. Si, doveva lasciare. Il mattino seguente, all’alba, sarebbe andato nel suo studio a palazzo San Giacomo. Lì avrebbe firmato il suo primo atto da Sindaco. Le dimissioni.
Giancarlo Avolio
Fatti e personaggi narrati in questo racconto sono frutto della fantasia dell'autore. Ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale.
Brano depositato alla S.I.A.E.
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